Abbiamo già analizzato il valore dello smart working in termini aziendali o generalmente numerici. Proviamo ora a comprendere in maniera più specifica il ruolo del lavoro da remoto, osservandolo con tre lenti di ingrandimento diverse eppure complementari.
Lavoratori fragili
La crisi pandemica, com’è noto, ha portato alla diffusione del cosiddetto lavoro agile; una pratica pensata inizialmente per fare fronte all’emergenza, ma che, con il passare del tempo, si è rapidamente consolidata anche con il venir meno del contagio. Ragioni che, in attesa di una regolamentazione unitaria e strutturale che aggiorni la lacunosa Legge 22 maggio 2017, n. 81, hanno spinto la politica a intervenire con Decreti emergenziali convertiti in Legge (Decreto Rilancio, Riaperture, Aiuti Bis) che potessero adeguatamente sostenere i lavoratori – o quantomeno provare a farlo. Tra le categorie che lo Stato ha cercato e cerca tuttora di tutelare maggiormente si annoverano quella dei professionisti fragili e dei genitori di under 14 del settore privato. Per loro, inserita nel Decreto Milleproroghe 2023 convertito in Legge e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 27 febbraio 2023, è arrivata la proroga dello smart working (da considerarsi modalità “normale”, non straordinaria) fino al 30 giugno 2023. Una decisione che inoltre prevede, qualora il lavoro da remoto non fosse compatibile con l’attività svolta dalle categorie di lavoratori interessate dalla proroga, la possibilità di corsi di formazione professionale ad hoc o una riassegnazione a mansioni diverse, purchè appartenenti alla medesima area di inquadramento e parimenti retribuite.
Il provvedimento, per quanto limitato e discutibile – specie tenendo in considerazione la gestione differenziata tra settore pubblico e privato – dimostra il ruolo di sempre maggior rilievo che lo smart working ha assunto negli ultimi anni. Non solo in termini di vantaggi economici e di gestione temporale, ma anche come supporto necessario a chi, dovendo fare fronte a una condizione di disabilità o a condizioni patologiche considerate a rischio, trova nel lavoro da remoto anche solo un parziale alleggerimento del proprio vivere quotidiano.
Pendolari
Proviamo ora ad allargare lo sguardo. Perché lo smart working, oltre a risultare particolarmente utile ai lavoratori fragili, rappresenta una modalità di impiego che tanti benefici ha recato a diversi strati della popolazione. Ancora una volta tralasciamo il mero – e già citato – aspetto economico, per concentrarci invece sulla categoria dei cosiddetti “pendolari”.
I dati raccolti dall’Istat nel periodo 2019-2021 sono, in questo senso, abbastanza eloquenti. Nel periodo antecedente all’emergenza sanitaria erano circa 33 milioni gli italiani pendolari, con picchi di oltre 40 pendolari su 100 abitanti in diverse regioni del Nord. Con il progressivo diffondersi del contagio la situazione è naturalmente mutata e negli ultimi tre anni le percentuali di pendolari hanno subito un brusco calo. Basti pensare che nei mesi immediatamente precedenti alla pandemia l’81,6% dei professionisti e studenti programmava di spostarsi circa 5 volte alla settimana; un dato sceso al 68,1% da quando la crisi si è ridimensionata. Così come colpisce che, nell’ultimo periodo, a lavorare e studiare totalmente da remoto sia stato il 10,3%, contro il 3,4% registrato nei primi mesi del 2020.
Questi numeri, fortemente condizionati da un utilizzo sistematico dello smart working, impongono una importante riflessione sulla futuribilità del lavoro da remoto oggi, in un periodo storico in cui l’emergenza sembra essere rientrata. Ebbene, la volontà dei pendolari – o quantomeno l’auspicio – sembra andare in un’unica direzione. Dati Ipsos del 2021 rivelano infatti che l’80% (tra lavoratori e studenti) non è disposto a viaggiare su mezzi pubblici ogni giorno; sia in nome di modalità di spostamento più sicure, sia per evitare assembramenti.
In aggiunta, secondo quanto riportato da uno studio realizzato presso la Harvard Business School, i lunghi tragitti porterebbero considerevoli svantaggi non solo ai lavoratori, bensì alle stesse aziende. La ricerca infatti, datata 2015-2017, dimostra quanto il pendolarismo rischi di essere nocivo nei confronti di produttività e creatività: un’indagine relativa a oltre 3400 inventori presso 1180 imprese tecnologiche in California e nel New England rivela, ad ogni aumento di 10 chilometri nella distanza casa-lavoro, una diminuzione del 5% di brevetti registrati, nonché un calo qualitativo del 7%. Risultati che, per quanto circostanziati e da analizzare con la dovuta cautela, costituiscono un ulteriore incentivo a un futuro “da remoto”. Un futuro in cui una formula di impiego ibrido possa rappresentare una soluzione più che adeguata alle nuove necessità e trasformazioni sociali.
Riqualificazione dei borghi
Riflettere sullo smart working significa, infine, sottolinearne anche l’impatto ambientale. E al di là degli effetti sulle emissioni già esplorati altrove, è altresì fondamentale evidenziare che il lavoro da remoto ha avuto e continua ad avere un ruolo principe nella riqualificazione dei piccoli comuni italiani, da decenni interessati da un progressivo fenomeno di spopolamento. Il lavoro agile ha difatti trasformato la nostra quotidianità professionale e ha spinto buona parte dei lavoratori a riflettere non tanto sul dove si lavora, quanto sul come; a interrogarsi cioè in merito alla possibilità di ripensare la propria collocazione fisica durante il periodo di impiego.
Molte sono d’altronde le persone che in seguito alla pandemia hanno deciso di trasferirsi, lasciare le città e spostarsi al mare o in montagna, così da poter lavorare circondati dalla natura, senza sprecare tempo ed energie nel traffico, bensì sperimentando uno stile di vita nuovo. Elementi che, oltre a condurre a una considerevole diminuzione dello stress dei lavoratori, possono risultare decisivi dal punto di vista socio-culturale.
L’arrivo di un certo numero di persone nuove in un piccolo comune italiano infatti, non contribuisce esclusivamente al benessere psico-fisico degli impiegati. Esso porta con sè ricchezza, vita, energia, lavoro, e, con esse, la possibilità di rilanciare il territorio attraverso una serie di servizi (scuola compresa) che possono incoraggiare una “fruizione” consapevole di quei luoghi e favorirne la crescita.
In conclusione…
In questi brevi paragrafi si è dunque tentato di mostrare non tanto lo sviluppo della modalità di Smart working in sè, ma la sua importanza in termini di sostegno a lavoratori fragili e pendolari. I dati raccolti hanno inoltre evidenziato quanto la suddetta formula da remoto aiuti numerosi borghi del nostro Paese a riguadagnare parte della propria identità e a contrastare il depopolamento che li affligge, favorendo invece un “ritorno alla natura” e alla sua calma. Smart working e coworking sono le solide fondamenta su cui poggiano l’idea e
la mission di NotOnlyDesk. L’unione di questi due fattori è il presente e, soprattutto, il futuro del mondo del lavoro. Un mondo che, oggi più che mai, non può permettersi di lasciare indietro nessuno, ma deve al contrario compiere ogni sforzo per valutare le migliorie necessarie a creare un networking efficiente all’insegna dell’innovazione e della volontà di crescere insieme.